CollegiCamere
Collegio di Perfezione n. 008 “LA FORZA DI RA” – Camera di IV grado “SIGILLO DI SALOMONE” n. 017
Collegio di Perfezione “HORUS” n. 013 – Oriente di Cosenza nella Valle del Crati
Istituito il 27/03/2023.
Collegio di Perfezione n. 002 “KARNAK” – Il Tempio
Galleria di immagini dello splendido tempio del Collegio di Livorno.
Collegio di Perfezione HELIOPOLIS – Camera di IV grado “ARPOCRATE” n. 055
Citato nei Testi delle piramidi, sviluppò il culto vero e proprio solo in Bassa Epoca e come erede terreno del padre divenne l’incarnazione della monarchia fin dal periodo predinastico.
A partire dal Terzo periodo intermedio il suo culto divenne sempre più popolare e l’iconografia più diffusa lo rappresentava come un bambino stante o in braccio alla madre Iside, mentre si portava un dito alla bocca ad indicare che era il dio del silenzio[1]. Jean-Pierre Corteggiani, nel suo libro L’Égypte ancienne et ses dieux dice che il dito sulla bocca non è che un atteggiamento tipico dell’infanzia che gli autori classici hanno frainteso, pensando in un invito al silenzio. In realtà il simbolo fatto con la mano altro non è che la rappresentazione del geroglifico bambino. Arpocrate fu scambiato dai greci come dio del silenzio ma in realtà è la rappresentazione di Horus bambino.
Il mito egizio più diffuso descrive Horus quale figlio di Osiride, il re divino ucciso e smembrato dal fratello malvagio Seth, e concepito dopo che la madre Iside aveva recuperato le parti del corpo del marito, avvolgendole con le bende e inventando in tal modo la mummificazione. Iside nascose il bambino fra i papiri della palude del Delta del Nilo, un’area di confine fra la sfera umana e quella divina. Al riparo dal maligno Seth, Horus crebbe e riconquistò il trono del padre.[2] Ma il piccolo, cui venne dato il nome Arpocrate, rimase nel suo “ruolo di base, per sempre un bambino, un riferimento e prototipo di tutti i bambini futuri”.[3]
Altro elemento tipico di Arpocrate era la sua testa completamente rasata, ad eccezione di una treccia che gli ricadeva sul suo lato destro. La sua statua si trovava all’ingresso di quasi tutti i templi, per indicare che in quel luogo si onoravano gli Dei col silenzio, ovvero, secondo Plutarco, gli uomini che avevano una imperfetta cognizione della Divinità non dovevano parlarne che con rispetto[1]. Gli antichi portavano spesso scolpita nei loro sigilli una figura d’Arpocrate, ad indicare che il segreto delle lettere andava conservato fedelmente.
L’immagine di Iside che allattava il figlio ispirò, secondo alcuni, successivamente i Copti nell’iconografia della Vergine con il bambino.
Anche se di origini egiziane, soprattutto dell’area del Basso Egitto, il suo culto venne presto adottato anche nell’area greca e romana, dove rappresentò il dio del silenzio, con il dito alla bocca e cinto di un mantello cosparso di occhi e di orecchi.
Collegio di Perfezione HELIOPOLIS n. 017 – Oriente di Reggio Calabria nella valle del Calopinace
Eliopoli (in greco antico: Ἡλίου πόλις, Heliopolis) fu un’importante città dell’antico Egitto capitale del 13º distretto del Basso Egitto. Il sito si trova, attualmente, nella periferia del Cairo nei pressi del sobborgo detto el-Matariya, sulla sponda orientale del Nilo. Eliopoli era una delle più rilevanti località legate al culto solare da cui il nome greco, città del sole. La leggenda narra che qui vi fu seppellita anche Santa Barbara, martire, figlia di un pagano, e una delle quattro “grandi vergini” della Chiesa.
Collegio di Perfezione DAMANHUR n. 016 – Oriente di Grosseto nella valle dell’Ombrone
Collegio di Perfezione DAMANHUR n. 016 – Oriente di Grosseto nella valle dell’Ombrone
Damanhūr (in arabo دمنهور) è una città dell’egitto situata nel delta del Nilo. Dista 70 km a sud-est da Allessadria d’Egitto e 160 km a nord-ovest dal Cairo. Secondo il censimento del 1996, ha una popolazione di circa 212 000 abitanti.
Nell’antico Egitto, la città era chiamata DmnHur, che significa “città di Horus“. Nel periodo ellenistico era conosciuta anche con il nome di Ermopoli Parva, in quanto era anche la città di origine del culto del dio Thot, associato al greco Ermes.
Secondo una paraetimologia degli abitanti del luogo, il nome Damanhūr deriverebbe da Damm, che in arabo egiziano vuol dire “sangue“, e da Nhur, che significa “giorni“: nell’antico Egitto in quella zona ci sarebbe stata una lunga guerra e pertanto il sangue sarebbe scorso per molti giorni.
E’ il collegio di perfezione sorto nella provincia di Grosseto e tre camere di perfezione sono state formate: la camera del IV° grado “Toth“, quella del IX° grado “Seshat” e quella del XX° grado “Giovanni Michelini“: Toth, la divinità rappresentato dalla forma di Ibis o raffigurata come una scimmia seduta, dio della scrittura e della saggezza, trova la sua paredra proprio in Seshat, la signora delle biblioteche, colei che conta le stelle, patrona dell’aritmetica, dell’astronomia, astrologia ed architettura, venerata dagli scribi nella Casa della vita, una scuola medica e biblioteca dei grandi templi di cui era la protettrice. Era una divinità personale del faraone, incaricata di inscriverne il nome sul sacro albero ished per assicurarne l’immortalità. Non ebbe un culto particolare al di fuori della famiglia reale, né templi a lei dedicati. Sulla figura di “Giovanni Michelini” vi rimandiamo alla pagina dove è possibile leggere l’orazione che il nostro G:.M:. Luigi Pruneti lesse a Villa di Corliano (Pisa), durante la tornata funebre.
Camera di perfezione IV° – TOTH
MAESTRO SEGRETO
Camera di perfezione IX° – SESHAT
ELETTO DEI NOVE
Camera di perfezione XX° – “Giovanni Michelini”
SCOZZESE DELLA VOLTA SACRA DI GIACOMO VI° E DELLA VOLTA SEGRETA
Collegio di Perfezione NUT n. 015 – Oriente di Palermo nella valle dell’Oreto
Nut, dea del cielo, era immaginata con il corpo di una donna che, posta ad arco sulla terra, la toccava con la punta delle mani e quelle dei piedi. Secondo il mito ingoiava il sole la sera per partorirlo la mattina seguente in un eterno ciclo di morte e di rinascita. Questo fece di lei il simbolo per eccellenza della rigenerazione eterna. Al contrario di tante altre antiche culture, gli egizi identificavano il cielo con una donna – la dea Nut In realtà l’idea del cielo come donna ha una forte valenza simbolica e una sua intrinseca coerenza che è legata al concetto di “grande madre” e di rinascita. Il cielo quindi è donna poiché custodisce in sé il dio del sole Ra che, dopo aver viaggiato all’interno del suo corpo durante le ore della notte, è pronto a rinascere sul mondo. Anche il colore rossastro dell’alba assumeva rilevanza in tale simbologia: gli sgargianti colori dell’inizio del giorno richiamavano simbolicamente il sangue del parto. Proprio perché strettamente connessa all’idea di rinascita, l’immagine di Nut veniva spesso posta sui soffitti della camera del sarcofago di alcune tombe della Valle dei Re, necropoli scelta dai sovrani del Nuovo Regno (1539-1069 a.C.) per il loro eterno riposo.
Collegio di Perfezione ATON – Camera di IV grado “AKHENATON” n. 051
Akhenaton, talvolta anche Ekhnaton, Ikhnaton[1], Khuenaton o Khuniatonu[10][N 1], ma per i primi 5 anni di regno[4] Amenofi IV o Amenhotep IV (Tebe, 1375 a.C. circa – Akhetaton, 1334/1333 a.C. circa), è stato un faraone egizio della XVIII dinastia. Regnò per 17 anni[11], morendo probabilmente intorno al 1334 a.C.
È celebre per aver abbandonato il tradizionale politeismo egizio a favore di una nuova religione di stampo enoteistico, monolatrico[12] (che mantenne, cioè, la credenza in più divinità pur adorandone una sola[13]) o pseudo-monoteistico[N 2], introdotta da lui stesso e basata sul culto del solo dio Aton, il disco solare[14]. La sua rivoluzione religiosa, duramente contrastata[15], si rivelò effimera. Pochi anni dopo la sua morte, i suoi monumenti furono occultati o abbattuti, le sue statue spezzate o riciclate e il suo nome cancellato dalle liste reali[16][17]. Le pratiche religiose tradizionali furono gradualmente restaurate e i sovrani che pochi decenni dopo fondarono una nuova dinastia, senza legami con la XVIII dinastia, screditarono Akhenaton e i suoi immediati successori (Neferneferuaton, Smenkhara, Tutankhamon e Ay), appellando lo stesso Akhenaton “il nemico di Akhetaton“[18] o “quel criminale”[19]. A causa di questa damnatio memoriae, Akhenaton fu completamente dimenticato fino alla scoperta, nel XIX secolo, del sito archeologico di Akhetaton (Orizzonte di Aton[20]), la nuova capitale che egli fondò e dedicò al culto di Aton, presso l’attuale Amarna. Gli scavi iniziati dall’archeologo inglese Flinders Petrie nel 1891, e terminati nel 1937, fecero nascere un grande interesse nei confronti di questo enigmatico faraone. Una mummia scoperta nel 1907 da Edward Ayrton nella tomba KV55 della Valle dei Re potrebbe essere la sua[21]; recenti analisi del DNA hanno accertato che l’uomo scoperto nella KV55 era padre di re Tutankhamon[22], ma l’identificazione di tali resti con Akhenaton è assai dibattuta[5][23][24][25].
L’interesse moderno nei confronti di Akhenaton e della sua grande sposa reale Nefertiti deriva in parte dalla sua connessione con Tutankhamon (anche se la madre del giovane faraone non fu Nefertiti, ma una donna sconosciuta che gli egittologi hanno soprannominato The Younger Lady[6]), così come dalla corrente artistica che incentivò e dalle sue idee religiose rivoluzionarie.
Collegio di Perfezione ATON n. 014 – Oriente di Cagliari nella valle del Tirso
Il dio Aton è indissolubilmente legato alla figura del faraone Amenhotep IV/Akhenaton, tuttavia, anche se si è soliti indicare il faraone Amenhotep IV quale fondatore del culto atoniano, già precedentemente il culto di Aton era assurto a maggior livello, con Thutmose IV, e ancor più con Amenhotep III[2], nel periodo in cui l’influenza asiatica si era fatta maggiormente sentire in Egitto. A quest’ultimo, immediato predecessore di Amenhotep IV, si deve infatti il primo allontanamento della casa regnante dal centro cultuale per eccellenza del dio Amon a Karnak, nei pressi dell’odierna Luxor, con la costruzione della reggia, e del proprio complesso funerario, in un’area oltre il Nilo, l’odierna Malqata, i cui unici resti ancora visibili sono i Colossi di Memnone. Tale operazione si inquadrava nel tentativo di sottrarre la casa regnante al potere dei sacerdoti del dio Amon insofferenti al ruolo strettamente religioso[2].
Su tale preesistente situazione politico-religiosa si poggiò la scelta di Amenhotep IV che, tra il secondo e terzo anno di Regno fece erigere a Karnak, sede del complesso dedicato ad Amon, un grande tempio dedicato ad Aton. Successivamente, tra il quarto ed il sesto anno di regno, il re mutò il suo nome da Amenhotep (Amon è soddisfatto) in Akhenaton (Effettivo spirito di Aton) e trasferì la capitale in una città fatta appositamente costruire, Akhetaton (ovvero Orizzonte di Aton), a circa 250 Km da Tebe. Anche la scelta di erigere una città ex-novo, in un’area non ancora subordinata ad alcuna divinità, denotava l’intento di distaccarsi non solo dal credo amoniano, ma anche da qualsiasi altra divinità preesitente. In tal senso, e facendo riferimento all’attuale denominazione dell’area in cui sorgeva Akhetaton, il periodo va sotto il nome di Eresia Amarniana. Benché di durata minima rispetto alla millenaria storia dell’Egitto (si calcolano circa 17 anni[3]), il periodo dell’eresia amarniana permeò di se non solo la vita politico-religiosa, ma anche quella artistica con canoni così particolari da rendere immediatamente riconoscibili le opere scultoree e pittoriche di tale periodo.